Uno degli interrogativi più caldi che ha tenuto e tiene tuttora impegnati scienziati e psicoanalisti è se la psicoanalisi rientri o meno tra le discipline cosiddette "scientifiche".
La posta in gioco in una eventuale risposta è molto alta: dietro questa domanda si costruiscono strategie di attacco e di difesa degne di una partita di scacchi giocata tra un giocatore russo ed uno americano ai tempi della guerra fredda.
L'insostenibilità di questa ipotesi fornirebbe spunto alla comunità scientifica, quella in particolar modo considerata legittima ereditiera del pensiero positivistico, per emarginare la psicoanalisi, vissuta come pericolosa linea di pensiero che con quello positivistico non ha nulla a che vedere, fondata com'è su presupposti non verificabili e misurabili; la sostenibilità della stessa ipotesi permetterebbe una vita tranquilla agli analisti desiderosi di essere riconosciuti in qualche modo da una entità di grande potere, garanzia questa per allontanarsi dalla scomoda e faticosa posizione di chi nuota contro corrente ed essere integrati quindi in una legittimazione.
Esiste poi anche una piccola fetta di purezza data dal bisogno di confronto fra teorie, metodi e obiettivi, dove convergenze o divergenze il più delle volte vengono comunque accreditate in funzione di una logica di validazione-falsificazione.
E' chiaro che all'interno di una metodologia e di una teoria si possono riconoscere solo gli aspetti di affinità, con conseguente scarto del difforme, ma è altrettanto vero che questo porta inevitabilmente, prima o poi, ad una chiusura narcisistica, che come si sa, impedisce qualsiasi forma di crescita, protesa com'è a confermarsi e sentirsi confermata in una ripetizione senza fine.
Il criterio validazione-falsificazione pone i suoi presupposti nel principio della oggettivazione: è questo la matrice di tutte le discipline scientifiche che basano la loro fonte epistemologica sulla verifica della realtà, intesa come esperienza oggettivabile ed immutabile, che rende valido o meno, per esempio, un metodo di ricerca. Se questo è estremamente utile sul piano dell'empirismo perchè permette lo sviluppo della tecnologia, le recenti scoperte nel mondo della fisica subatomica hanno mostrato una diversa "visione della realtà", intesa non come negante quella precedentemente accertata, ma proprio come letteralmente diversa.
La teoria della relatività generale di Einstein ha rivoluzionato la fisica moderna perchè ha dimostrato che lo spazio ed il tempo non solo non hanno valore assoluto, ma sono due diverse rappresentazioni di una stessa matrice, non disgiungibili tra loro, in quanto lo spazio non può esistere in assenza di tempo e viceversa. Siamo di fronte a delle affermazioni che ci appaiono discutibili solo se catalogate in una linea di pensiero filosofico, ma che letteralmente ci estraniano se le avviciniamo con logica e razionalità.
Possiamo qui intravedere una certa affinità di pensiero, di rappresentazioni, con la psicoanalisi.
Il pensiero scientifico, o meglio, parte di esso, rivisita la propria linea di fondamento: lo scienziato, l'osservatore, si dà il compito di indagare, al fine di classificare, gli eventi osservabili in natura, la realtà oggettiva, servendosi di strumenti come sonde imparziali, capaci di riportare in maniera "oggettiva" le proprietà dell'oggetto di osservazione; attraverso una operazione di "amplificazione" lo strumento espande le capacità sensoriali dell'uomo, traducendole in codici di lettura che vengono infine accreditati come espressione di qualità intrinseche dell'oggetto, matrice dell'oggetto.
Ed è proprio su questo punto che viene a modificarsi una linea di pensiero: attraverso la meccanica quantistica ci si rende conto che l'osservatore ed il suo strumento di osservazione non sono "estranei" ed obiettivi rispetto a ciò che osservano, ma sono coinvolti essi stessi in una sorta di interazione reciproca, per cui le proprietà di ciò che si osserva sono subordinate allo osservatore ed allo strumento che quest'ultimo utilizza, al punto che viene suggerita l'idea di sostituire il termine "osservatore" con quello di "partecipatore".
Scrive il fisico John Wheeler a tal proposito: "Nel principio quantistico nulla è più importante di questo fatto, e cioè che esso distrugge il concetto di mondo inteso come "qualcosa che sta al di fuori di qui", con l'osservatore a distanza di sicurezza, separato da esso da lastre di vetro spesse venti centimetri. Anche quando osserva un oggetto così minuscolo come un elettrone, l'osservatore deve spaccare il vetro: deve entrare, deve installare il dispositivo di misura che ha scelto (...) Inoltre la misurazione cambia lo stato dell'elettrone. Dopo, l'universo non sarà più lo stesso. Per descrivere ciò che è accaduto, bisogna eliminare la vecchia parola "osservatore" e sostituirla con il nuovo termine "partecipatore". In un certo qual modo l'universo è un universo partecipatorio" (citato in J. Mehra, a cura di, The Physicist's Conception of Nature, D. Reidel, Dordrecht, Holland 1973, p244).
Questo fa venire in mente il concetto di setting e la relazione analista e paziente, nella lettura per esempio del transfert e controtransfert: non il professionista che indaga il paziente in modo oggettivo, applicando in modo altrettanto oggettivo il proprio sapere e utilizzando la propria tecnica in modo distaccato e freddo (un pò come sembra avvenire nel rapporto istituzionale tra medico e paziente), ma la reciproca interazione, l'universo partecipatorio di Wheleer, in cui si svolge l'esperienza e da cui scaturiscono degli eventi. In quest'ottica il fondamento della assolutezza della realtà perde non solo valore, ma anche significato.
Quando si analizza un sogno, si fa riferimento al racconto del sognatore, così come è condizionato dal ricordo, dallo stato d'animo e dal tipo di relazione che questi ha instaurato con il proprio analista: non importa che il racconto riproduca fedelmente il contenuto del sogno (inteso come il dato oggettivo), perchè esso comunque rispecchia quell'universo che non è più lo stesso al momento in cui interagisce con l'analista ed i suoi strumenti.
E' evidente, quindi, che le proprietà di ciò che si osserva hanno valore solo nell'ambito del contesto in cui l'esperienza avviene.
Se questo si modifica, e con esso quindi anche le modalità di misurazione, cambieranno anche le proprietà di ciò che si osserva; ci saranno più "verità", tutte strettamente connesse al sistema di indagine ed al momento in cui avviene. Questo lo si sperimenta spessissimo nella pratica clinica, quando una stessa frase, uno stesso concetto o uno stesso racconto onirico, ripetuti in momenti diversi (momento non inteso nella sua sola accezione temporale), acquistano significati altrettanto diversi, che possono ampliare il raggio della comprensione e della relazione.
Il problema si sposta quindi dal tema della validazione-falsificazione al bisogno di trovare un linguaggio "rappresentativo" con cui descrivere tale molteplicità.
In campo psicoanalitico grossi sforzi teorici sono stati compiuti in tal senso da Jacques Lacan ed Ignacio Matte Blanco. La loro linea di pensiero è accomunata nell'osservare che la psicoanalisi, nel tentativo di riadattare se stessa al modello delle scienze già esistenti, corre il rischio di allontanarsi dalla specificità della scoperta dell'inconscio, così come formulata da Freud. Nel tentativo di ricercare una legittimazione scientifica, a dirla con Matte Blanco "la psicoanalisi si è allontanata da se stessa, ha trascurato considerevolmente il suo proposito iniziale di esplorare la psicologia dell'inconscio e di quel misterioso mondo dove ogni cosa è differente da ciò che vediamo nella vita cosciente (...) Nel corso del suo sviluppo la psicoanalisi è diventata meno psicoanalitica (in quanto ha trattato i contenuti inconsci - n.d.r.) come se fossero regolati dalle stesse leggi che si vedono in opera nella coscienza e si applicano nello studio di tutte le altre scienze" (I. Matte Blanco, L'inconscio come insiemi infiniti. Saggio sulla bilogica (1975), Einaudi, Torino 1981 p. 12).
Entrambi gli autori si sono serviti di modelli matematici per tentare di dare una descrizione delle caratteristiche invarianti del funzionamento dell'inconscio, ma più nell'ottica di un riferimento qualitativo che in termini di misura quantitativa.
Matte Blanco, ad esempio, riconduce a tredici le caratteristiche invarianti dell'inconscio descritte da Freud e ne descrive il funzionamento ricorrendo alla teoria degli insiemi di Cantor: secondo questa lettura l'inconscio tratterebbe come equivalenti aspetti (oggetti) parziali ed aspetti totali, secondo un principio di simmetria che non trova corrispondenza nella logica del pensiero cosciente. Come chiarisce Massimo Recalcati (Introduzione alla Psicoanalisi contemporanea, B. Mondadori, Milano, 1996, pag.267), se si può affermare una bivalenza nella proposizione "Pietro è fratello di Paolo", altrettanto non si può sostenere nell'affermazione "Pietro è figlio di Paolo", non rispondendo questa seconda proposizione al principio di simmetria; se questo viene riportato alla clinica della dimensione inconscia, l'assenza di reciproca contraddizione (una delle tredici invarianti) fa sì che la equivalenza sia trattata anche nella seconda proposizione, proprio come accade nella teoria insiemistica dove sottoclassi di un insieme appaiono equivalenti all'insieme stesso.
E' sorprendente come tali concetti si ritrovino tracciati nel campo della fisica relativistica, dove viene descritta l'equivalenza tra massa ed energia nella nota formula E= mc2, ed in cui, come accennato prima, la simmetria delle dimensioni spazio-tempo appaiono contraddire qualsiasi tentativo di logica legata all'empirismo quotidiano.
Le affinità del pensiero umano relativo a due dimensioni così apparentemente distanti ed incompatibili tra loro come la fisica e la psicoanalisi emergono in molti esempi rintracciabili nella clinica, nella teoria e nella ricerca sperimentale.
Nella fisica subatomica è stata formulata da Geoffrey Chew una teoria, denominata "bootstrap", secondo la quale la natura non è "rappresentata" dall'insieme più o meno ordinato di particelle fondamentali, così come descritta nella concezione meccanicistica newtoniana, ma da una rete dinamica di eventi interconnessi, dove una qualsiasi parte di questa rete di per sè non è fondamentale, ma strettamente connessa all'intera rete, secondo una coerenza interna derivante dalle reciproche connessioni, che determinano la struttura della intera rete (autocoerenza): insomma, una sorta di struttura che regge sè stessa.
Senza grosse forzature, tale descrizione può senz'altro connettersi con la rappresentazione , sicuramente non approssimativa, che abbiamo, delle proprietà dell'inconscio, ad esempio in relazione alla struttura e costruzione del sogno stesso.
La trattazione del simbolismo, pur facendo riferimento a delle tracce costanti, deve tener conto della fitta rete di connessioni esistenti tra i numerosi simboli presenti in una rappresentazione onirica, non potendo questi essere letti previa una estrapolazione dal contesto in cui appaiono: la regia del soggetto sognante fa si che le varie matrici simboliche possano essere utilizzate con diverse modalità e significati, funzionali al dipanarsi del "raccontarsi": si può dire che un sogno regge sè stesso. La rigida scomposizione dei suoi contenuti, riferita ai simboli come elementi base del linguaggio onirico, ci fa uscire da quel sogno e, depersonalizzandone la lettura, crea un "non senso".
Questo discorso evoca un altro modello teorico, quello di Lacan, in riferimento alla lettura dell'inconscio in chiave topologica, la cosiddetta "geometria di gomma". I simboli acquisterebbero una sorta di plasticità spaziale, in cui la significatività prenderebbe forma non in relazione al loro aspetto o alla loro configurazione, bensì al loro processo trasformativo : pur conservando la proprietà invariante cioè, il contenuto simbolico si rende trasformabile in un campo omeomorfo, una sorta di linguaggio dell'inconscio che rende manifesta la struttura del soggetto lì dove non esiste un linguaggio a rappresentarla. E' il tramite tra il campo del linguaggio ed il vuoto, la mancanza a essere (J. Lacan, Scritti, vol. I: Funzione e campo della parola e del linguaggio in psicoanalisi, Einaudi, Torino, 1974, pag. 314).
Alle prese con il vuoto di un linguaggio non più rappresentativo, il fisico Werner Heisenberg scrive: "I problemi del linguaggio sono qui veramente gravi. Noi desideriamo parlare in qualche modo della struttura degli atomi....Ma non possiamo parlare degli atomi servendoci del linguaggio ordinario" (cit. in : F. Capra, Il Tao della Fisica, Adelphi Edizioni, 1982,Milano).
Un altro aspetto inquietante, nella accezione che Freud fa di questo termine in quanto riferito a ciò che è estraniante, non familiare, è la possibilità che viene formulata di integrare nella teoria quantistica e soprattutto nella sua evoluzione, alla luce della teoria del bootstrap, la coscienza umana. Scrive Chew: " Tale passo futuro potrebbe essere immensamente più radicale di qualunque altro, compresa la teoria bootstrap degli adroni; saremmo obbligati ad affrontare il concetto elusivo di osservazione e, forse persino quello di coscienza. Può darsi quindi che gli sforzi che facciamo attualmente per elaborare la teoria bootstrap degli adroni siano solo una anticipazione di una forma completamente nuova di impegno intellettuale, che non solo si collocherà al di fuori della fisica, ma non potrà neppure essere considerata 'scientifico' " (G.F. Chew, Bootstrap: a scientific idea?, Science CLXI, 1968, pag. 765).
Un'altra singolare analogia la ritroviamo fra il lavoro di Lacan sulla topologia dell'inconscio e la teoria della matrice S, frutto dell'elaborazione del lavoro di Heisenberg, nel campo della meccanica quantistica, su alcune particelle subatomiche, denominate adroni. In questa teoria le proprietà di tali particelle vengono descritte non nei termini di una loro forma spaziale, quanto nella probabilità che tali particelle hanno di andare incontro alle possibili interazioni a loro pertinenti, rilevandone così l'esistenza nelle loro varie fasi di trasformazione fisica.
Il campo della certezza, intesa come rassicurazione profonda di convincimento, persuasione, effetto litico dell'ansiogeno dubbio che elide ogni affermazione contraddittoria, dato per onorare il principio scientifico di non contraddizione, viene suggestivamente spazzato via dalle parole di un altro fisico, Robert Oppenheimer:" Per esempio, alla domanda se la posizione (nello spazio- n.d.r.) dell'elettrone resti sempre la stessa, dobbiamo rispondere 'no'; alla domanda se la posizione dell'elettrone cambi col passare del tempo, dobbiamo rispondere 'no'; alla domanda se esso sia fermo, dobbiamo rispondere 'no', alla domanda se esso sia in movimento, dobbiamo rispondere 'no'" (J.R. Oppenheimer, scienza e pensiero comune, Boringhieri, Torino, 1965, pag. 146).
Ed un famoso aforisma di Einstein rincara la dose: "Nella misura in cui le proposizioni matematiche si riferiscono alla realtà, esse non sono certe; e nella misura in cui esse sono certe, non si riferiscono alla realtà" (riportato in F. Capra, cit., pag 47)
D'altro canto, quando si studia il comportamento umano, quali previsioni ci garantiscono la certezza di un evento che coinvolga il soggetto, condizionandone il futuro? In termini pragmatici solo la nascita e la morte rappresentano punti predditivi assoluti; e questi sono gli stessi parametri di riferimento che i fisici prendono in considerazione nel rappresentare l'esistenza di una particella: la sua nascita e la sua morte: tutto ciò che sta nel mezzo viene affrontato in termini di probabilità di trasformazioni, di interazioni in una struttura fatta di eventi, fino a concepire che la materia, l'energia, lo spazio, il tempo, sono la manifestazione di una rete di eventi appartenenti ad una stessa matrice.
I confini fra soggettività e oggettività in campo scientifico diventano sempre più sfumati, la distinzione tra "oggetto parziale" e "oggetto totale" non appare più così limpida e la vicinanza al misticismo orientale ed al pensiero filosofico in generale non genera più il timore della contaminazione tra forme di pensiero considerate finora incompatibili.