Massimo Caluori

Massimo Caluori

Psicoanalista, medico, pediatra. Ha lavorato come internista nella USL 11 della Toscana, ove ha in seguito condotto un’attività di sensibilizzazione psicoanalitica e supervisione di operatori sanitari nell’ambito del Progetto Global Care. Membro fondatore dell’Istituto Gradiva e dell’Associazione psicoanalitica Psicologia della Rappresentazione, collabora alla Collana di Studi Psicoanalitici Rappresentazioni (ETS, Pisa), ove sono presenti alcune tra le sue pubblicazioni. In tali ambiti ha condotto lezioni e corsi sulla psicosomatica e sui rapporti fra psicoanalisi e medicina, e corsi e interventi formativi e di aggiornamento presso enti pubblici e privati. Medico scolastico dal 2020 al 2022 presso la Usl Centro Toscana. Coordina lo sportello di ascolto psicologico presso Unicollege SSML (Scuola Superiore per Mediatori Linguistici) a Firenze. Vive a Montopoli V.A. e lavora a Montopoli e Firenze.

Eros è un grande demone

“il naturale è costituito almeno di due: il maschile ed il femminile. Tutte le speculazioni sul superamento del naturale nell’universale dimenticano che la natura non è una. Per andare al di là – ammesso che occorra – conviene partire dalla realtà: la realtà è due…si è pensato l’universale come uno, a partire da uno. Ma questo uno non esiste”.

Luce Irigaray, “io amo a te”

Nella storia del pensiero umano, il tema della sessualità ha subito una evoluzione che fin troppo spesso è stata condizionata dal tentativo di definirla attraverso l’attribuzione della genitalità; e se già i greci parlavano di bisessualità, il tema dell’uno universale è sempre stato dilagante, anche perché i progressi delle conoscenze anatomiche e fisiologiche sono stati utilizzati, e tuttora lo sono, per rafforzare la posizione dominante del maschile e subalterna del femminile (al massimo complementare), fino al punto di considerare i genitali femminili come la rappresentazione rovesciata di quelli maschili.
Anche in campo embriologico, l’interpretazione in chiave evolutiva dello sviluppo del corpo umano paragona gli organi genitali sempre a partire dal maschile. E così le ovaie sono da considerarsi l’equivalente di testicoli non migrati, le grandi labbra l’abbozzo embrionario dello scroto e così via.

Solo in epoca recentissima, se riferita alla storia umana, la scoperta medica tra fine ottocento e primo novecento della capacità procreativa, e non solo di incubatrice, della donna, le ha di colpo fatto acquisire una predominanza genetica, con quel cromosoma x in più di cui è in possesso, e che le permette addirittura una maggiore longevità rispetto all’uomo.
Di lì si sono moltiplicati gli studi, e direi le attenzioni, verso quegli attributi che rendono il mondo femminile qualcosa a sé, piuttosto che opposto a quello maschile – chissà perché poi si è sempre parlato di sessi opposti. E allora sorgono le invenzioni delle classificazioni degli orgasmi, condivisi fra clitoride e vagina, oppure l’identificazione del punto g, tanto famoso ed affascinante nella sua enigmatica ed essenziale definizione, che diventa superfluo provare a dimostrarne l’esistenza. Per non parlare poi delle mestruazioni, promosse dalla loro indicativa originaria espressione di impurità a dismenorrea per i ginecologi, a mal di capo per gli scrittori di fine ottocento, fino al poetico neologismo “quei giorni” inventato dalla pubblicità di oggi.
La problematica connessa con il ciclo ha trovato una sua originale collocazione nel campo della produttività: infischiandosene degli allarmi lanciati da ecologisti vari – sembra che occorrano quasi cinquecento anni per la biodegradazione di un pannolino – ne sono stati inventati di svariate misure, per tutti i giorni del ciclo, e addirittura un tipo per i giorni in cui il ciclo non c’è. E’ nata una cultura terapeutica estremamente varia, dai farmaci antidolorifici alla pratica yoga, dal credere che con il quinto figlio passa tutto alla affermazione di furbi maschietti che bisogna farlo molto spesso, magari in posizioni insolite. Insomma, da argomento tabù, si tende a parlarne tutti i giorni, perché arrivano, perché non arrivano, perché stanno per arrivare, perché sono appena finite, perché è la seconda volta che vengono in un mese, perché è da due mesi che non vengono.

Quanto detto finora sembra vestire i panni della profanazione, per ciò che non si conosce, per ciò che non si vede. Il termine deriva dalla radice latina di profano, e significa togliere sacralità, privare di sacralità, ma anche contaminare, macchiare.

E’ nei termini della profanazione che suggerirei di leggere questo infinito e continuo gioco del mistero da svelare, che quanto più rivelato non uccide le fantasie e le rappresentazioni connesse al sesso, ma semmai induce ad inventarne delle nuove, in un gioco erotico fatto di velamenti e svelamenti.
Basti pensare a come sia stata interpretata la funzione dell’educazione sessuale nelle scuole, tanto da farla coincidere con l’informazione sessuale. Il dire come stanno le cose, ed a questo già ci pensano abbondantemente i mass media, informare sull’anatomia e raccontare della fisiologia dell’atto sessuale (dimenticandosi della sua intricante ed irrinunciabile componente erotica), se da un lato ha ridotto un’ignoranza dettata dai costumi e dal bigottismo morale, dall’altro ha spinto a trasferire altrove l’investimento libidico ed erotico, perché lasciato colpevolmente privo dei suoi naturali bersagli, così violentemente svelati e messi a nudo.

Certamente si è riusciti a sfatare la meravigliosa credenza secondo cui si può restare in cinta con un bacio appassionato, ma non si è impedito che soggetti ben più informati e cronologicamente più grandi di coloro cui è riservata tale educazione, abbiano ideato, in nome della ricerca scientifica, un modo sofisticato, tramite una telecamera miniaturizzata a fibre ottiche, per arrivare con gli occhi a svelare, ma anche morbosamente a profanare, l’incontro ravvicinato dei genitali di sesso opposto durante un accoppiamento.

“esprimendo l’intensità del desiderio, può anche accadere che il desiderio diventi operante. Quanti bambini, se lo sguardo potesse fecondare! Quanti morti, se potesse uccidere! Le strade sarebbero piene di cadaveri e di donne gravide”.

j. Starobinski, “l’occhio vivente”

E’ ciò che ci aspettiamo di vedere dietro le cose a spingerci a guardare attraverso le cose stesse.

Scrive sempre starobinski:

“ciò che è nascosto affascina (…) vi è nella dissimulazione e nell’assenza una strana forza che costringe lo spirito a volgersi verso l’inaccessibile (.. ) il fascino emana da una presenza reale che ci obbliga a preferirle ciò che essa occulta (…) il nostro sguardo è attivato nel vuoto vertiginoso che si forma nell’oggetto affascinante…”

Non meraviglia, quindi, che il sesso, quanto più reso invisibile e quindi sacro dai tabù della religione e della società, tanto più è diventato oggetto di desiderio erotico, ed ha reso il vedere, vedere come conoscenza, un atto pericoloso e anche naturalmente colpevole.
Tra i miti ci sono numerosi esempi che riconducono nelle loro rappresentazioni allo sguardo come fantasma di profanazione: ricordo quello di amore e psiche, di orfeo ed eurdice, di edipo stesso che si acceca per aver voluto vedere-conoscere la sua profanazione su quanto di più sacro ed inaccessibile appare agli occhi di un figlio, cioè i genitori; oppure tra le sacre scritture, dove la moglie di lot è trasformata in statua di sale per essersi voltata a guardare la distruzione di sodoma e gomorra.
La trasgressione attraverso lo sguardo viene rappresentata in modo molto eloquente nel “barbablu” di charles perrault, dove la “morale” conclusiva suona così emblematica: “la curiosità, malgrado tutte le sue seduzioni, costa spesso tanti dispiaceri; si tratta, non dispiaccia al sesso, di un piacere assai leggero; appena lo si prende esso finisce per esistere, e sempre costa troppo caro”.
Questa invadenza, questa profanazione, sembra portare con sé sempre una colpa e la espiazione della relativa pena; in modo particolare, la proibizione di vedere per non poter vedere.
E, il vedere come conoscenza, come profanazione della sacralità, ritorna nel peccato originale di adamo ed eva, dove la conoscenza passa attraverso il vedere, il mangiare con gli occhi. E se fa sorridere l’iperbole di roberto benigni che in un suo monologo considera dio esageratamente permaloso per i guai che ha fatto passare al genere umano, – e tutto per una mela! -, fa sicuramente riflettere l’ottica con cui Sartre affronta l’accostamento fra sesso ed alimentazione, in un suo libro dal titolo emblematico “la vista è godimento, vedere è deflorare”:

“conoscere vuol dire mangiare con gli occhi (…) il conosciuto si trasforma in io, diventa il mio pensiero e da qui accetto anche di ricavare la sua esistenza solo da me. Ma questo movimento di dissoluzione si irrigidisce perché il conosciuto rimane sempre allo stesso posto, indefinitamente assorbito, mangiato, e indefinitamente intatto, digerito tutto intero e tuttavia fuori tutto intero, indigesto come una pietra (…) il digerito indigerito, il sasso nello stomaco dello struzzo (…) questa impossibile sintesi della assimilazione e dell’integrità conservata dell’assimilato si ricongiunge, nelle sue radici più profonde, con le tendenze fondamentali della sessualità (…) si vedono le correnti sessuali ed alimentari fondersi e compenetrarsi (…) si vedono le radici digestive e sessuali riunirsi per dar vita al desiderio di conoscere. “

Il richiamo alla melanine klein è inevitabile, ma rischierebbe di appesantire ulteriormente questo mio intervento, rendendolo quindi indigesto a sua volta. Vorrei però ricordare uno scritto di freud sul tema del profanare, legato alla pulsione erotica:

“per l’occhio noi siamo abituati a tradurre gli oscuri processi psichici che intervengono nel rifiuto della scopofilia sessuale (l’impulso sessuale che si serve dello sguardo) e dell’apparizione del turbamento psicogeno, facendo come se una voce vendicatrice si levasse nell’individuo e approvasse l’esito del processo dicendo: “poiché tu hai voluto prendere la misura con il tuo organo visivo, servendotene per uno scaltro piacere sessuale, è soltanto giustizia se tu non vedi assolutamente più nulla”. Allora c’è, là sotto, la legge del taglione (…) nella bella storia di lady godiva tutti gli abitanti della piccola città si nascondono dietro le finestre chiuse per facilitare alla donna il suo dovere, che è di percorrere la strada in pieno giorno, nuda e a cavallo. Il solo che spia attraverso le persiane la bellezza denudata è punito con la cecità”. Lo svelamento compie il suo giro di trecentosessanta gradi, ri-velando (col trattino), cioè velando nuovamente, ciò che la profanazione aveva appena “svelato”. Non tragga in inganno la posizione apparentemente indifferente del cosiddetto oggetto, perché come esiste un desiderio-paura di vedere, esiste anche un desiderio- paura di essere visto. Il bambino piccolo lo esprime con naturalezza nell’esibizione della propria nudità, essendo questo esibizionismo – e non solo nel bambino – la contropartita del suo desiderio di vedere. Nell’ambito di una ricerca da me eseguita per valutare gli aspetti psicologici dell’ecografia ostetrica, da un colloquio clinico fatto con una donna in cinta dopo una ecografia di controllo, riporto questo stralcio di conversazione: “oggi ho trovato l’esame più gradevole forse perché (l’ecografista) era un uomo…trovavo che aveva una voce dolce, si sarebbe detto che bisbigliava, è abbastanza bello, non trova? D’altra parte mi piace abbastanza la sonda, è un po’ come un massaggio, una carezza (arrossisce leggermente). Avevo l’impressione di avere una certa importanza (…) bisogna che dica la verità, non lo volevo questo secondo bambino, ho sempre paura di restare grassa, non volevo deformare il mio corpo; il dottore ecografista deve essersi accorto che sono preoccupata, perché ha messo una mano sulla mia gamba, là….. è veramente bravo questo dottore…”

Dove collocare eros in tutto questo?

Che tipo di valenza erotica esiste fra chi profana e chi subisce la profanazione, se c’è sempre bisogno del sacro perché questo accada, e chi, se non un demone, può creare sacralità là dove c’è desiderio di profanazione?

Massimo Caluori

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