“Tra bufalo e locomotiva la differenza salta agli occhi. La locomotiva ha la strada segnata, il bufalo può scartare di lato e cadere. Questo decise la sorte del bufalo”.
Bufalo Bill, F.De Gregori
Scopo di questo articolo è raccogliere alcune considerazioni sull’Intelligenza Artificiale in generale e in particolare sulle sue applicazioni nell’ambito della cura del disagio psicologico.
Non intendo trattare l’argomento dal punto di vista informatico, non essendo un esperto di questo campo e neanche degli sviluppi tecnici che ci potranno essere.
Confesso che il mio interesse all’argomento è nato, qualche tempo fa, dalla lettura, all’inizio abbastanza distratta, di alcuni articoli sull’argomento.
Sono venuto così a sapere che già nel 1966 fu progettata un’applicazione dell’IA con il progetto ELIZA al Massachusetts Technology.
ELIZA simulava un terapeuta Rogersiano e tentava di creare un legame empatico con il paziente ponendo domande sui suoi sentimenti. Era solo testuale .
Nadelson nel 1987 tentò dimostrare come l’interazione tra utente e IA fosse superficiale.
Le risposte che venivano fornite dal sistema erano semplici, erano basate sull’utilizzo di parole chiave ma constatò che gli utenti attribuivano all’IA sentimenti e caratteristiche umane.
Fu anche provato a far fare ad un paziente, prima un colloquio con un terapeuta in carne ed ossa e poi uno con l’IA. I dialoghi furono analizzati da un gruppo di esperti che li giudicarono egualmente efficaci.
Parry e Sim Sensei fu sviluppata negli anni 90’ a partire da studi sull’importanza che l’espressione facciale, i gesti, il corpo hanno nella comunicazione fino a studiare l’importanza dell’intonazione della voce. Il sistema comprendeva la presenza dell’immagine di un terapeuta virtuale con le fattezze di una donna chiamata Ellie e di un sistema di registratori di indicatori visivi e sonori per il riconoscimento di disagio psicologico, depressione, ansia, disturbo post traumatico da stress.
In uno studio del 2016 fu dimostrato come gli utenti che interagivano con questo sistema avessero: “ meno paura di sentirsi valutati e di divulgare più informazioni personali rispetto a quando hanno a che fare con una persona in carne e ossa”. I pazienti parlavano più liberamente con Ellie perché non si sentivano giudicati.
Nel 2017 nasce Woebot ( università di Stanford) un supporto di matrice cognitivo comportamentale per chi soffre di ansia e depressione. Attraverso l’elaborazione del linguaggio consente l’analisi dei sentimenti e quindi riesce a fare una diagnosi psichiatrica.
Psicologi e psichiatri potranno, si è detto, con strumenti di questo genere,“calcolare i sentimenti” .
L’università di Trento insieme a IDEGO starebbe sviluppando un “Agente Conversazionale” che, viene dichiarato, interagendo con le persone dovrebbe essere in grado di comprenderne lo stato psicologico e aiutare la loro capacità di adattamento. Potrebbe essere utilizzato, tra una seduta con lo psicologo, e l’altra per fissare quanto appreso durante le sedute.
Tutto ciò, come dicevo, mi ha molto colpito forse anche perché potrei definirmi un “Tecnoignorante” e, in quanto tale, quando leggo queste cose subito penso a certi film e libri di fantascienza e sono colto da una certa inquietudine.
Penso ad HAL 9000, il super computer della Discovery nel film di Kubrick 2001: Odissea nello spazio o il medico Oleografico dell’universo medico di Star Trek.
Quindi mi chiedo ma sarà mai possibile che l’IA possa diventare un sistema utilizzato per prendersi cura del disagio psichico degli esseri umani?
In ambito medico siamo, pare, proprio su questa strada.
Sulla prestigiosa rivista medica JAMA quest’anno è uscito un’articolo nel quale si dichiarava che ChatGPT-4 ha mostrato di essere superiore ai medici in termini di ragionamento clinico nel trattamento di casi medici simulati. I ricercatori hanno confrontato le capacità di ragionamento di GPT4 con quelle di medici in formazione e medici senior di due centri medici accademici di Boston. Chatbot GPT-4 ha ottenuto dei punteggi( con un sistema di valutazione del ragionamento clinico) superiore sia a quello dei medici senior che a quelli dei medici in formazione.
E’ molto probabile quindi che in un futuro, non poi così distante, quando avremo problemi di salute ci rivolgeremo, almeno in buona parte, all’intelligenza artificiale esattamente come succedeva in alcuni episodi della saga di Star Trek che peraltro aveva anticipato ad esempio l’uso dei cellulari .
I dubbi e le domande sono molti e proprio per questo vorrei stimolare una discussione intorno a questi temi.
Leggendo certi articoli pare proprio che l’IA sia destinata a trovare sempre più largo impiego in campo psicologico e psichiatrico.
Sappiamo che essa accresce sempre più il suo bagaglio di nozioni e quindi è come se si ponesse come un sistema più capace rispetto ad un sapere che può contenere un essere umano e come tale pare essere simile ma più efficiente dell’intelligenza umana.
Ma poi siamo sicuri che un’affermazione come questa possa essere sostenuta?
L’anno scorso il quotidiano “la Stampa” pubblicò un articolo nel quale Noam Chomsky, il famoso filosofo USA della comunicazione, metteva in guardia dall’intelligenza artificiale affermando:
“ La mente umana non é come la ChatGPT e i suoi simili, un motore statistico ingombrante per la corrispondenza dei modelli , che si ingozza di centinaia di terabyte di dati ed estrapola la risposta più probabile a una domanda scientifica. Al contrario la mente umana è un sistema sorprendentemente efficiente e persino elegante che opera con piccole quantità di informazioni”…
Oggi i nostri presunti progressi rivoluzionari nell’intelligenza artificiale sono in effetti motivo di preoccupazione e di ottimismo. Ottimismo perché l’intelligenza è il mezzo con cui risolviamo i nostri problemi. Preoccupazione perché temiamo che il filone più popolare e alla moda dell’intelligenza artificiale -apprendimento automatico – degradi la nostra scienza e svilisca la nostra etica incorporando nella nostra tecnologia una concezione fondamentalmente errata del linguaggio della conoscenza….Questi programmi sono stati acclamati come i primi barlumi all’orizzonte dell’intelligenza artificiale generale, quel momento a lungo profetizzati in cui le menti meccaniche supereranno i cervelli umani non solo quantitativamente in termini di velocità di elaborazione e dimensioni della memoria, ma anche qualitativamente in termini di intuizione intellettuale, creatività artistica e ogni facoltà istintivamente umana… sappiamo dalla scienza della linguistica e dalla filosofia della conoscenza che differiscono profondamente dal modo in cui gli esseri umani ragionano e usano il linguaggio. Queste differenze pongono limitazioni significative a ciò che questi programmi possono fare, codificandoli come difetti ineliminabili…Il punto cruciale dell’apprendimento automatico è la descrizione e la previsione; non prevede meccanismi causali o leggi fisiche.” e poi ancora “ Il pensiero di tipo umano si basa su possibili spiegazioni e sulla correzione di errori, un processo che limita gradualmente le possibilità che possono essere considerate razionalmente”.
Quindi Chomski ci dice che, per adesso, l’IA è lontana da poter essere paragonata a quella umana, e se lo dice Chomski ci possiamo credere.
Qualcun altro ha fatto notare che “ Sicuramente l’Intelligenza Artificiale riesce a risolvere alcuni problemi meglio dell’uomo ma saprà mai crearne?”
Tutto ciò però non ci garantisce che l’IA, anche come la conosciamo oggi, non possa avere un largo impiego in campo psicologico e in questo caso non sappiamo quali effetti potrebbe sortire.
Il fatto che più mi ha colpito è che pare che oggi persone sofferenti non abbiano difficoltà a rivolgersi ad un’entità non umana per esprimere i loro problemi anzi!
I fautori dell’uso dell’IA nel campo della cura del disagio psichico, seppure anche solo in aggiunta al terapeuta umano, sostengono che essa presenta innegabili vantaggi.
Ad esempio la IA è praticamente disponibile sempre, dotandosi delle opportune tecnologie che ormai sono alla portata di tutti, può essere presente ovunque in qualsiasi momento o quasi.
Potrebbe costare molto poco o addirittura essere gratuita e quindi assolutamente “democratica” e potrebbe anche avere una durata praticamente illimitata.
Già questi, almeno a prima vista, possono apparire innegabili vantaggi che potrebbero sostenere il successo della IA nel campo della cura psichica e non solo.
Al di là delle validità che una IA potrebbe avere nell’ambito della cura è chiaro che molti, anche tra gli “psicoadetti”, pensano che queste caratteristiche siano positive in ambito dell’aiuto psichico.
Viene subito da domandarsi se però la mancanza di certi limiti sia comunque sempre vantaggiosa.
Tutta questa accessibilità, gratuità ( che poi non è mai realmente tale) comodità offerta al soggetto per risolvere i propri problemi non potrebbero determinare un’impoverimento del potere di operare un cambiamento?
Evidentemente per molti esperti questo tipo di pericolo non sussiste, anzi!
Da sempre l’uomo è alla ricerca di qualcosa che gli fornisca le risposte alle domande che lo angosciano e tra queste il suo benessere.
Un tempo ci si rivolgeva agli oracoli, raggiungibili spesso a prezzo di grandi sacrifici, ottenendone per lo più risposte vaghe, ambigue. Oscuri consigli che il soggetto doveva interpretare.
L’uomo post moderno ha a sua disposizione meccanismi incredibilmente potenti, facilmente ed immediatamente accessibili, che promettono risposte matematicamente precise e scientificamente provate.
Risposte vaghe e insature nel primo caso , complete e oggettive nel secondo.
Non si richiede più al soggetto di tollerare il dubbio e di farsi carico della responsabilità della scelta ma solo di seguire precise indicazioni.
Quale idea di cura psicologica sottende queste affermazioni?
E’ evidente che qui ci si riferisce ad una “terapia” del disagio psichico di stampo prettamente medico direi assistenzialista. Il malato o meglio la malattia, fisica o psichica a questo punto è indifferente, è un guasto che provoca sofferenza e questo per essere aggiustato necessita di una risposta circa cosa e dove si è rotto e di un modo per riparare o sostituire ciò che non funziona.
Prima e più comodamente ci vengono fornite le soluzioni meglio è e dato che l’IA promette di essere una fonte enorme di informazioni sempre disponibili a buon mercato l’IA è la risposta ai nostri problemi.
Siamo certi, pare, che quello che più ci serve per prenderci cura del nostro disagio sono le informazioni e quindi un sistema che può fornirne molte a buon mercato e senza limiti di tempo è il sistema migliore.
Oggi viviamo, grazie a Internet, una realtà in cui le informazioni ci inondano l’esistenza.
Come ho detto l’idea è quella che i nostri problemi possono essere facilmente risolti grazie alla possibilità di avere delle informazioni in modo semplice e senza fatica. Non esiste domanda alla quale un accesso alla rete non possa fornire risposta.
Ci scordiamo spesso che in questo serbatoio di informazioni quelle vere sono costantemente mescolate a quelle false e sta al soggetto operare un lavoro critico talvolta assai difficile e complesso.
La rete ci fa sentire onnipotentemente sapienti perché ci permette di accedere ad una mole di informazioni enorme in tempo zero come se questo equivalesse a conoscere e a poter “ragionare e sentire “ quel sapere che in realtà è solo nozioni senza sentimento.
Mia figlia da piccola quando non voleva studiare diceva: “ Perché dovrei studiare la geografia se tanto trovo tutto sul cellulare?” e non è facile spiegare che la geografia non serve tanto a capire come si chiamano le città, le nazioni o quanti abitanti hanno o dove si trovano ma a capire dove siamo noi e per questo non serve solo avere queste singole nozioni ma collegarle simbolicamente per darci contezza di noi stessi in rapporto al mondo.
Tutti possono essere capaci di fare tutto basta seguire un tutorial appropriato.
Sapere e saper fare coincidono senza scarto alcuno.
Sia chiaro che non stiamo ponendoci il problema se l’ I.A possa essere utilizzata per qualcosa di simile ad un’analisi con un avatar al posto dell’analista.
Per me è ovvio che non può essere così.
L’analisi è un percorso, o processo che dir si voglia, che grazie alla presenza di un terzo permette al soggetto di fare esperienza del proprio inconscio.
E’ un rapporto tra inconsci, quello del soggetto in analisi e quello dell’analista e escluderei che l’I.A. potrà mai essere dotata di qualcosa di simile ad un inconscio.
L’esistenza del corpo è una condizione imprescindibile in analisi da cui senza corpo non può esserci analisi.
Eppure l’applicazione di certe tecnologie che prevedono l’uso della rete pone anche una serie di dubbi di varia natura anche in un rapporto psicoterapico non analitico.
Uno tra i tanti riguarda la segretezza delle comunicazioni.
Pensiamo al segreto che lega l’analista al soggetto in analisi e che comunque ritengo sia fondamentale anche nel rapporto psicoterapico genere, così come in quello medico.
Solo la certezza del rispetto del segreto può rendere possibile un rapporto psicoterapico ma nel momento in cui qualcuno si confida con un computer come può non pensare che i preziosi dati intimi che comunica non siano recepiti da chi non ha come scopo l’ascolto del disagio psichico?
In un film di fantascienza del 2019 che si intitola “ Ad Astra” del registra James Gray, che tratta del viaggio spaziale di un astronauta alla ricerca del padre, si descrive un mondo dove gli astronauti, prima e durante le missioni, si applicano un chip al collo e comunicano con un’intelligenza artificiale che monitora il loro stato fisico e psichico. Controlla che le loro emozioni e desideri siano consoni ai compiti che devono svolgere e nel caso gli fanno soggiornare in delle “camere di rilassamento” dove possano riacquisire il controllo del loro stato emotivo oppure gli esonerano dall’incarico.
Tutto sommato molto meno fantascientifico di quello che potrebbe sembrare.
Già attualmente, senza voler peccare di paranoicismo, siamo costantemente controllati da algoritmi che analizzano i dati forniti dai nostri computer, smartphone, smartwhatc fino ai più moderni Apple Vision per indurci a desiderare tutta una serie di oggetti di consumo oppure per individuare potenziali terroristi o pedofili etc etc.
Come potremmo allora comunicare serenamente le nostre angosce, i nostri desideri più intimi o le nostre fantasie e i nostri sogni certi che non vengano utilizzati anche per altri scopi che non siano il nostro benessere psicofisico?
Il solo pensiero fa tremare le vene ai polsi.
La segretezza della comunicazione è elemento fondamentale perché possa venirsi a creare un luogo protetto e accogliente nel quale il soggetto possa aprirsi senza angoscia.
Altro punto importante, così come è stato messo in luce dall’analisi, è rappresentato dal fatto che le parole, per come sono pronunciate e dal momento nel quale sono pronunciate così come i silenzi d rappresentano un potente mezzo di comunicazione in un rapporto tra terapeuta e soggetto sofferente.
Un sistema come l’Intelligenza Artificiale che non ha coscienza della propria esistenza e quindi sensazioni e sentimenti su cui basarsi potrà decodificare ciò che il paziente vuole, spesso inconsciamente, comunicare?
E poi ancora ci sarebbe il problema del Transfert.
Non possiamo illuderci che possano esistere fasi di un rapporto, umano o disumano come nel caso di quello con l’avatar dell’Intelligenza Artificiale, in cui il trasfert ( questione cruciale del rapporto psicologico) non si dia.
E’ fuorviante pensare un rapporto di cura della psiche ( sia in campo psicologico che psichiatrico) nella quale non scatterà un trasfert e non so quanto un programma del tipo di quello dell’I.A. sia in grado di gestire il trasfert del paziente che pure inevitabilmente si da e si da fin da subito.
Penso a quante volte a me stesso capiti di irritarmi con con Alexa perché non comprende i miei ordini.
D’altro canto va detto che i problemi derivanti dall’esistenza del transfert sono poco considerati anche da molte psicoterapie per non parlare della moderna medicina e psichiatria.
Continuo comunque, come analista, a domandarmi com’è che l’uomo post moderno non esiti ad esporre i suoi aspetti più intimi, quelli della sofferenza, ad un essere virtuale e anzi trovare ciò preferibile al confronto con un essere umano.
Forse, ho pensato, questo fenomeno potremmo farlo rientrare in una più generale tendenza che fa sì che si tenda ad avere nei confronti di ciò che proviene dalla rete un atteggiamento di completo affidamento.
Abbiamo già detto come l’Intelligenza Artificiale possa registrare e processare le informazioni sicuramente molto di più di qualsiasi umano fornendo risposte in un linguaggio adatto alla comprensione del paziente in modo facile e gratuito.
E’ un po’ come se si occupasse di me non chiedendomi niente in cambio.
Una mamma sapiente e sempre disponibile.
Attualmente assistiamo ad una sorta di regressione del soggetto quando si confronta le possibilità offertegli dall’informatica : nelle banche dati, nei social per non parlare del metavarso un soggetto può trovare vede la facile soluzione alle sue ansie.
Esistere per sempre, essere amati, sessualmente soddisfatti, compresi e curati, diretti nelle scelte di ciò che è bello e buono e di ciò che non lo è .
Un’eterna infanzia.
La possibilità di vivere in una vita immaginaria.
Una sorta di cordone ombelicale , fatto di fibre ottiche, che ci rifornisce di tutto ciò che può rassicurarci.
Però tutto ha un prezzo e la regressione che questo tipo di sicurezza ci richiede, ci rende meno liberi perché meno responsabili del nostro desiderio, meno autonomi perché legati al rapporto con ciò che la rete ci fornisce e quindi meno adulti perché regrediti ad una condizione più “infantile”.
Tutto ciò prevede inoltre la rinuncia al corpo ( almeno ad un certo tipo di corpo).
Pensiamo a tanti giovani che vivono isolati nelle loro stanze, divenute una sorta di nuovi uteri, dalle quali escono sempre più raramente per incontrare la vita e capaci di comunicare solo attraverso la protezione di internet .
Pensiamo appunto ai sempre più numerosi “Hikikomori” un termine che significa letteralmente “stare in disparte” forse per ritirarsi spaventati dalla realtà o forse per sentirsi in una posizione onnipotente dalla quale spiare il mondo attraverso una specie di buco della serratura offerto dall’uso della rete, senza esporvisi con il proprio corpo.
Teniamo presente che ormai da tempo assistiamo, sempre più, ad una progressiva fuga dai rapporti in presenza a cui vengono preferiti quelli virtuali.
Indubbiamente questi ultimi presentano una serie di vantaggi che non possono essere misconosciuti ma ,al solito , le questioni sono sempre complesse e taluni risvolti inquietanti.
Sicuramente l’invenzione della rete e questa moderna tendenza all’isolamento e a un’esistenza prevalentemente attraverso le immagini ha modificato i rapporti umani rendendoli talvolta dis-umani.
Probabilmente il periodo di isolamento causato dal Covid ha poi accelerato questo processo.
Bisogna anche essere coscienti che l’essere umano per sua natura tende a scegliere sempre la via meno faticosa accettando con difficoltà i limiti che la vita gli impone.
Un paziente, che da poco ha iniziato un’analisi, mi dice: “ Io mi trovo bene a venire qui a parlare dei miei problemi ma il fatto è che mi costa fatica!” . “E con ciò ?” gli viene risposto “ cosa trova di strano nel fatto che per cercare di cambiare lei debba durare fatica?”.
La fatica maggiore a cui si riferiva questo soggetto non era tanto quella di spostarsi ma quella di assumere rispetto a se stesso la responsabilità dei propri desideri e, come ho già detto, certi usi della rete promettono di evitare di fare questa fatica ottenendo la remissione del sintomo.
E’ una questione enorme che non possiamo certo sviscerare adesso ma che comunque non può essere ignorata.
Di fatto oggi il corpo abdica all’immagine.
La scienza, ma dovremo dire la medicina in particolare, ci ha abituati all’idea di non essere un corpo ma di avere un corpo e che questo corpo altro non è che un insieme di organi che la medicina moderna studia oggettivamente, separatamente gli uni dagli altri con indagini sempre più basate sulle immagini.
Il sapere sul corpo è spesso separato dal sentire della persona.
– Da notare come sia in controtendenza il procedere analitico che non cessa mai di chiedere al soggetto “ Ma tu rispetto a quello che mi hai detto cosa provi?” –
Una medicina esclusivamente tecnica basata sull’immagine gestita dal un medico sempre meno interessato a interloquire con il paziente ma sempre più sedotto dalle immagini del corpo e dai dati oggettivamente ottenuti attraverso gli strumenti.
Più in generale da quando il corpo, quel corpo che sono, è assente si fa un gran parlare del corpo e un esaltarne le immagini. ( d’altra parte si parla sempre preferibilmente di chi non c’è)
Intendiamoci tutto ciò ha un aspetto rassicurante o meglio deresponsabilizzante per il soggetto perché se io non sono un corpo ma ho un corpo posso affidarne la cura alla scienza che lo deve indagare e lo deve mantenere in salute e vitale per sempre senza che io ne abbia in ciò alcuna responsabilità . Per contro “ staccare il mio corpo e la sue immagini da me” è molto rischioso perché non ne sono più il proprietario e saranno altri quindi a disporne.
Potremmo dire che l’esistenza del mio corpo diventa reale per me quando lo percepisco, quindi lo sento magari attraverso il piacere o il dolore della fatica o della malattia ma anche quando lo espongo allo sguardo degli altri.
La Rete oggi ha reso possibile l’esistenza del mio corpo , la mia esistenza , attraverso le immagini di esso, le immagini delle mie esperienze che gli altri possono vedere, ammirare in ogni momento e in ogni luogo in tempo reale.
Questa onnipotenza dell’immagine però rischia di legarmi in una dipendenza in cui la mia esistenza si lega all’immagine di me e alla possibilità che gli altri vedano questa immagine che si distacca dal mio sentire.
Io esisto solo nella misura in cui gli altri vedono la mia immagine e questa staccata da me può essere manipolata a mio o altrui piacimento.
Pensiamo all’importanza dei social nella vita dell’uomo post moderno.
Pensiamo alla compulsione al Selfie così come la si può osservare tutti i giorni. Pare che oggi per molte persone la possibilità vivere certe esperienze, certi momenti non passi tanto dall’emozione che si prova ma dalla possibilità di inviare un immagine in copia alla rete quasi come se ciò rendesse me e quei momenti reali ed eterni in barba alla tanto sbandierata castrazione di stampo psicoanalitico.
Stanghellini , da fenomenologo, nel suo testo sul Selfie afferma che nella tarda modernità è mutata la coscienza del corpo. Esso non è più quel che sia sente ma bensì quello che si vede e quindi si mostra “ il dire e il vedere sovrastano il sentire” ( pag 33), e poi continua: “ Si provano emozioni per così dire cognitivamente; per certe persone esistono emozioni che solo tramite la ragione (e non il corpo) si possono provare. Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non può comprendere, scriveva Pascal. Oggi si può dire che ci sono emozioni che solo la ragione può sperimentare. Le emozioni prendono corpo tramite la ragione. E il Se prende corpo grazie alla presenza dell’altro. Il Sè che nel vuoto relazionale è allo stato gassoso, di fronte all’altro cambia stato, diventa liquido – liquido non solido. Solo l’essere visto conferisce sostanza al Sé. L’essere visto supplisce allo scarso sentire.
In altri termini il massiccio investimento che questa nostra moderna realtà ha fatto sull’immagine e sull’immaginario ci avrebbe disabituati a “sentire” e forse anche a capire ragionare a “intelligere” parola latina composta da “inter” fra e “legere” scegliere da cui intelligente è chi sa trascegliere e non chi sa solo apprendere e memorizzare”.
A questo punto sono cosciente di aver deragliato dall’oggetto di questo nostro articolo (cosa che l’Intelligenza Artificiale non avrebbe mai fatto) in quanto mi ero riproposto di interrogarmi sui possibili futuri usi dell’I.A. nel disagio psichico.
Credo anche di poter aver dato l’impressione di volermi scagliare contro l’uso dell’Intelligenza Artificiale a prescindere ma non era la mia intenzione.
E’ pure vero che, quando si parla di certe cose è difficile mantenere una posizione “equilibrata”.
Non ha senso tuonare contro il progresso, ormai inarrestabile , in campo informatico ed in particolare contro l’uso dell’IA in generale. Sono sicuro che questa sia un prezioso strumento tecnologico per progredire in tantissimi campi e per rendere la nostra vita e quella dei nostri figli più comoda e sicura ma non posso fare a meno di chiedermi come medico e come psicoanalista che impatto potrà avere una rivoluzione come questa sull’essere umano e sul disagio psichico che lo ha sempre attraversato e continuerà ad attraversarlo.
Nel “ Il disagio della civiltà” Freud trattando dei nuovi strumenti tecnologici – di allora – che aumentano il potere dell’uomo si esprimeva così ( pag 582): “ L’uomo è per così dire divenuto una specie di Dio protesi veramente magnifico quando è equipaggiato di tutti i suoi organi accessori; questi però, non formano un tutt’uno con lui e ogni tanto gli danno ancora del filo da torcere… Le età future riservano nuovi e forse inimmaginabili passi avanti in questo campo che appartiene alla civiltà, e accresceranno ancora la somiglianza dell’uomo con Dio. Pure, nell’interesse della nostra indagine, non dimentichiamo che l’uomo d’oggi, nella sua somiglianza con Dio, non si sente felice.
1) L’articolo è tratto dall’intervento alla giornata di studio all’Istituto Gradiva di Firenze del 1 Giugno 2024 dal titolo: “ L’antropologia necessaria e l’Intelligenza Artificiale”.






